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Libere un giorno, incatenate sempre: riflessioni sulla Giornata della donna

Oggi è la Giornata della Donna. La prima Giornata della Donna si è festeggiata l’8 marzo del 1945, periodo che, si sa, si riconduce alla guerra. Per lungo tempo, le donne hanno dovuto combattere, lottare ardentemente per il raggiungimento dei loro diritti.

Negli anni, non possiamo certamente non ammettere che le cose siano cambiate. Di gran lunga anche! Oggi, si aspetta questo giorno per sentirci “libere”.

LIBERE, finalmente, dai propri mariti, dai propri figli, di vivere la propria sessualità latente.

LIBERE di poter incontrare quell’amica che non vediamo da tempo, di poter fare tutto ciò che si vuole.

Ci sentiamo LIBERE un solo giorno dell’anno. I restanti 364 giorni, siamo incatenate in una vita che sembra non appartenerci, cucita addosso da non so chi che ha deciso per noi.

È come se un regista famoso avesse scritto, per noi, la sceneggiatura della “brava donna”. Quella donna dedita alla casa, alla famiglia, fedele al marito, molto spesso quel bravo ragazzo, di brava famiglia, che ha conosciuto durante le scuole. Non esistono amiche o, almeno, non esistono amiche “diverse” da questo stereotipo di donna. Tutte omologate a questo ruolo. L’amica single, in fin dei conti, potrebbe prospettarci una visione molto più interessante, magari, di ciò che stiamo vivendo. Quindi, NO! Meglio non legarci, poi, così troppo!

Il lavoro?

Qualora dovesse esserci, sempre calibrato sulla vita familiare. Vietato seguire passioni, idee, pensieri.

Conosco donne a cui piace andare a ballare. Appena chiedo loro: “Scusa e perché non ci vai!?”, mi viene risposto subito: “Magari! Lui non verrebbe mai!”. Come se dovessimo avere il via libera da parte del marito per seguire una nostra passione. È come se non potessimo operare una scelta da sole. È come se avessimo bisogno del “maschio alpha della situazione” per ritagliarci un’identità. Seppur ipocrita, ma pur sempre un’identità!

Conosco donne che hanno dovuto lasciare il lavoro dei sogni, perchè prevedeva uno spostamento di sede in altra città o viaggiare molto, per rimanere con il marito.

Conosco donne che hanno annullato completamente il loro “essere donne” per “essere mamme”. È come se una cosa annullasse l’altra. Non si può essere donne, se si vuole essere mamme. E viceversa!

Donne che, per la famiglia, si trascurano. Non esiste una palestra, del tempo da dedicare a sé stesse, perché significherebbe toglierlo alla famiglia. Non esiste un parrucchiere, un’estetista, tanto “i peli me li taglio con il rasoio, prima dell’estate. L’inverno non c’è mica bisogno!”.

Donne che non stanno bene con loro stesse, nelle quali subentra il disagio con il loro corpo.

Quest’ultime usano maglioni larghi e pantaloni di due misure in più per nascondere difetti fisici. Perché loro stesse non riescono a guardarsi più allo specchio.

Donne alle quali non è permesso un sabato sera fuori con le amiche, altrimenti sono costrette a lasciare i figli al marito. Come se i figli fossero solo loro.

Donne alle quali non è consentito comprare dell’intimo che, semplicemente, piace, perché potrebbero essere etichettate come “cattive donne”.

Il marito.

Quell’uomo alpha il quale, una volta sposato, non sembra essere capace di adempiere agli obblighi familiari più semplici. Cambiare un pannolino sembra scalare il monte Everest. Dare una spazzata a casa è un’impresa assolutamente da non fare. Per non parlare della cucina, di caricare una lavatrice o, semplicemente, portare i bambini al parco.

I papà devono solo andare a lavorare.

I mariti possono giocare a calcetto con gli amici e, dopo, fermarsi a prendere una birra insieme.

“Maschi alpha” che possono sedersi su poltrone costose in pelle umana a dirigere aziende, ma che sono totalmente incapaci di mettere un bavaglino ai propri figli o raccontare loro una favola, per fargli addormentare.

ATTENZIONE. La società si aspetta che siano gli uomini a dirigere le aziende. E le donne?

Questo per dirvi che la società ci impone dei ruoli.

Ruoli prestabiliti, ruoli dai quali non riusciamo assolutamente a staccarci.

Ruoli che, inevitabilmente, accrescono le frustrazioni nelle persone, cronicizzano tutti quei lati tossici, ai quali siamo, ormai, abituati ad affrontare.

Ci hanno insegnato che l’Amore debba essere, per forza, malato, dannato. Che le attenzioni debbano essere elemosinate. Che le emozioni debbano essere nascoste, perché, altrimenti, ci si mostra fragili.

Non abbiamo più tempo per un abbraccio, per dirci quel “Ti voglio bene!” o quel “Ti amo!” che sentiamo dal cuore.

Non abbiamo il coraggio di ascoltarci, di seguire le nostre emozioni, di mostrare le nostre fragilità.

Io stessa, ad esempio, fino a pochissimo tempo fa, avevo paura di mostrare le mie fragilità.

Avevo timore di piangere.

Avevo vergogna nel farmi vedere piangere.

E, ancora oggi, provo difficoltà nel farlo, soprattutto se ho davanti a me una persona che sta soffrendo. Sono una donna che non piange insieme a lei, ma le dà la forza giusta per affrontare il suo dolore.

So bene cosa significa “provare dolore”.

La Signora Vita non mi ha certo risparmiato le occasioni (se così possiamo chiamarle!) per provare dolore. La morte prematura di mia mamma è stata una di quelle. Ci convivi, ti abitui a vivere nel dolore, lo metabolizzi ed impari che quell’emozione va vissuta, come tutte tra l’altro.

Mi piace tanto parlare di emozioni.

Lo faccio, ogni giorno ormai, sui miei social. A rischio di risultare, anche, monotona e rompiscatole!

Lo faccio perché penso seriamente che le emozioni siano un mondo ancora troppo inesplorato, ancora poco conosciuto.

Mi sono fissata un obbiettivo.

E cioè quello di essere un’adulta sana.

Per fare ciò, bisogna raggiungere un equilibrio giusto tra tre parti di noi: fisico, mente ed emozioni.

Ho iniziato il mio percorso di accettazione di me stessa molti anni fa.

Per tanto, troppo tempo, ho lottato con il mio corpo, socialmente non accettato.

Sono una donna curvy. Da sempre!

Ho avuto la crescita del seno da piccolina. È comparso insieme al ciclo, all’età di 9 anni. A quell’età, non sai certamente cosa ti stia capitando. Sei una bambina nel corpo di una donna. Vai alle elementari e sai che dovrai chiedere alla maestra di andare in bagno, per cambiare l’assorbente, con in sottofondo i tuoi amichetti che ridacchiano. Ricordo ancora che cercavo di nascondere l’assorbente nella mano, senza riuscirci. La mia mano era ancora troppo piccola per contenere una cosa così grande, così “da donna”!

Ho subito bullismo, ma all’epoca non se ne parlava!

Era una cosa normale, talmente normale che ormai non ci facevo neanche più caso.

Ed oggi?

Oggi, sono una donna di 36 anni che ancora non è sposata e non ha figli. La gente mi guarda come se fossi sbagliata, cerca di farmi sentire sbagliata. In fin dei conti, se avessi dovuto seguire lo status quo, avrei dovuto avere almeno 10 anni di matrimonio alle spalle e 3 figli. Ma niente di tutto ciò!

Ad oggi, mi dedico alle attività che mi fanno stare bene.

Ho accettato il mio corpo, curvy e testimonianza della mia ottima attitudine al cibo.

Mi ritaglio del tempo per me stessa, mi alleno, esco con le pochissime amiche che ho e che ho attentamente selezionato, faccio tanto sociale. Mi piace conoscere gente, mi affascina ascoltare i racconti delle persone. E non perché io sia pettegola, ma perché so bene che, dai loro racconti, si può imparare e tanto anche!

Nella mia vita, posso dire di aver aiutato tante persone.

Le ho aiutate anche solo ascoltandole, dando loro il giusto sostegno, non facendole mai sentire sole.

Ho imparato un altro lato di me stessa. Sto bene quando gli altri stanno bene. Ed io faccio di tutto per far stare bene le persone per le quali provo affetto, amore.

Ho aiutato donne in difficoltà, vittime di compagni, mariti, fidanzati violenti.

Durante il COVID, con le restrizioni che tutti abbiamo subito e con l’isolamento sociale imposto, tante donne si sono ritrovate a dover affrontare la cronicizzazione di una situazione violenta, ormai allo stremo. Mi ricordo ancora di una donna, che io chiamerò Benedetta per rispettare la sua privacy, che mi contattò sui social, dopo aver letto un mio post sulla violenza. Mi chiese come fare per allontanarsi da quella situazione che, ormai, non sopportava più. Le ho detto dell’esistenza dei centri antiviolenza, ma erano chiusi in quel periodo. Allora, le ho consigliato di chiamare il numero d’emergenza. Aveva paura, tanta ed io non potevo fare molto. Purtroppo!

Benedetta, oggi, è riuscita a rifarsi una vita.

Ha dovuto abbandonare tutto, ma non è un aspetto importante.

Come Benedetta, ce ne sono tante di donne che vivono queste situazioni.

Ma non sono solo le donne ad essere vittime di violenza. Ci sono anche gli uomini, anche i giovani.

Della violenza maschile non se ne parla.

È un fenomeno ancora troppo silente, subdolo.

Le donne violente non sempre usano le mani, non attaccano il fisico. Per i più almeno!

Loro usano la manipolazione, la violenza psicologica, quella economica. Sono arrivate ad utilizzare la denuncia per rovinare il compagno fedifrago, il tradimento con l’amica o, semplicemente, un loro rifiuto.

Ed anche questa può essere considerata una violenza.

Basterebbe ascoltare le loro storie, per poter comprendere che potremmo essere proprio tutti vittime di queste situazioni.

Da poco, è uscito nelle sale cinematografiche “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi.

Ammetto di non averlo ancora visto, ma mi impegnerò a farlo.

È un film ambientato nella seconda metà degli anni Quaranta, nella Roma divisa tra la liberazione e la miseria della guerra, da poco terminata. Delia è moglie di Ivano e madre di tre figli. I suoi unici ruoli. Madre e moglie. Niente di più. Ivano è il capo famiglia, padre padrone, il cui unico ruolo è quello di andare a lavorare, per portare quei pochi soldi a casa. Non c’è occasione che non lo faccia presente, alternando toni alterati a cinghie di cuoio. In primavera, Delia è in agitazione per il matrimonio della sua prima figlia, Marcella, con un ragazzo di buona famiglia, di nome Giulio. Delia aspira ad un matrimonio da sogno per la figlia. Ma una misteriosa lettera le darà il coraggio di pensare che esiste un futuro migliore.

La Cortellesi, nel discorso che ha tenuto all’università Luiss, ha, poi, nominato le principesse delle fiabe. Ne ho parlato anche io, in diversi miei articoli. Ovvio, non voglio paragonarmi alla Cortellesi, non ho questa presunzione. Vorrei solo sottolineare come sia sempre più diffusa l’idea che, forse, le storie Disney ci hanno inculcato un preconcetto che ci ha abbastanza danneggiato.

Lei ha parlato di Cenerentola e Biancaneve. Io ne ho parlato in generale.

Principesse rinchiuse in un castello, che si ritrovano sposate con il primo ragazzo conosciuto, la prima sera che sono scappate.

Principesse, dotate di rara bellezza e di un’ingenuità disarmante, vittime delle angherie di matrigne cattive e sorellastre capricciose e viziate. È l’esempio, appunto, di Cenerentola, la quale viene scelta dal principe azzurro, dalla dimensione del piedino e dopo un ballo.

Principesse la cui unica realizzazione è quella di trovare l’amore, molto spesso il “primo” amore. Giovani ragazze senza esperienza, figlie di papà, senza ambizioni, senza lavoro, senza alcun tipo di obbiettivo nella vita.

Perchè i principi azzurri?

Come già accennato pocanzi, anche l’uomo ha il suo ruolo nella società, bello e fatto. Principi bellissimi, che cercano la principessa indifesa, da proteggere. Quel ruolo di “maschio alpha” che porta loro a dare sempre il massimo, a realizzarsi nell’azienda di famiglia o nel fantomatico posto fisso, nell’essere quel calciatore che fa tanto orgoglioso il papà. Quel “maschio alpha” che non mostra mai i propri sentimenti, benché meno farsi vedere piangere. “Piangere è da femmine!”, quante volte l’abbiamo sentita questa frase?

Ruoli sociali che impongono, già da bambini, ai maschietti il pallone da calcio ed alle femminucce l’asse da stiro, ai motorini ai ragazzi e cosmetici di ogni tipo e prezzo alle ragazze.

Ruoli che impongono, in età adulta, l’uomo che deve lavorare e la donna ai fornelli e che qualora dovessero essere disattesi, fanno di noi i “diversi”, i “folli” da tenere lontani. L’amica single che viene isolata dal gruppo, perchè tutte già sposate e con figli, che parlano di gravidanze, scuole dei pargoli e come smacchiare i pantaloncini del calcetto dei loro mariti.

L’amico single da evitare, perché potrebbe far nascere pensieri perversi agli altri maschietti sposati, potrebbe portarli sulla strada della perdizione. Eh sì, perché loro non sono capaci di scegliere di portare rispetto. L’uomo è cacciatore e la donna è preda. E guai a scardinare questo preconcetto!

Ed ecco come la Giornata della Donna sia diventata una giornata ipocrita, dove i maschietti parlano di rispetto e le femminucce di libertà.

Ma ci siamo chiesti se questa libertà effettivamente esiste?

Ed il rispetto?

La Giornata della Donna non è solo un’occasione per regalare fiori e sorrisi, ma è un richiamo all’azione, un’opportunità di ricordare l’importanza di garantire pari opportunità a tutte le donne, ovunque esse siano. È un giorno in cui dovremmo onorare le conquiste passate, ma anche riconoscere che c’è ancora molto da fare per raggiungere una società equa ed inclusiva.

Le donne hanno attraversato molte sfide nel corso della storia, combattendo per diritti fondamentali, l’accesso all’istruzione e la possibilità di scegliere il proprio destino. Oggi, dobbiamo rinnovare il nostro impegno per sostenere e promuovere queste cause. La parità di genere non è solo una questione femminile; è un obiettivo che tutti noi dovremmo abbracciare. Solo lavorando insieme possiamo creare un mondo in cui le donne abbiano le stesse opportunità ed il riconoscimento che meritano.

Non dobbiamo dimenticare che la parità di genere non riguarda solo le donne. Gli uomini sono partner fondamentali in questo percorso. Dobbiamo lavorare insieme per creare un ambiente in cui tutti possano prosperare, indipendentemente dal genere. L’uguaglianza di genere è un investimento nel progresso, nella giustizia e nella costruzione di una società più forte ed inclusiva per tutti.

Concludo ora, promesso!

La Giornata della Donna non è solo un giorno di festa, ma un promemoria del nostro impegno a lottare per un mondo in cui ogni donna possa vivere senza limiti, in cui le opportunità non siano limitate dal genere. Dobbiamo continuare a lavorare insieme, sfidando gli stereotipi, combattendo le disuguaglianze e costruendo un futuro più equo per ciascuno di noi.

Grazie a tutti!