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Intervista a Stefano Scatena: Psicologo e Autore
IntervistePsicologia

Intervista a Stefano Scatena: Psicologo e Autore

10 Settembre 2025 Redazione The Digital Moon

Intervista a Stefano Scatena: Psicologo e Autore

Lei ha scelto di restare a Viterbo, la sua città, per costruire lì la sua identità professionale. Quanto ha contato questo radicamento nel definire il suo modo di essere terapeuta?

In maniera radicale. Sono cresciuto sostanzialmente in strada – ma per davvero, non come nei racconti dei trapper che imitano modelli gangsterizzati. Viterbo per me è casa, famiglia, un “utero insieme”. È la mia base sicura, il punto da cui partire per esplorare il mondo e tornare con qualcosa in più da offrire. Il rapporto tra me e questa città è simile a quello tra un giovane adulto e la sua base di attaccamento: ci si distacca per vivere e lavorare, ma si sa che lì c’è sempre un rifugio solido. Amo profondamente Viterbo, non credo me ne andrò mai. Sono nato, cresciuto e vivo nella stessa via da quando sono venuto al mondo.

Nei suoi libri parla di dipendenza affettiva e depressione con un linguaggio diretto ma profondo. Quando scrive, pensa più ai pazienti, ai colleghi o alle persone che cercano risposte fuori dal percorso terapeutico?

Penso solo ai lettori. Sono stato tra i primi in Italia a rendere “pop” la psicologia, e con questo ho contribuito, nel bene e nel male, a renderla più visibile ma anche più esposta a banalizzazioni. Oggi tutti parlano di psicologia, spesso improvvisando diagnosi e concetti come se fosse una materia semplice. Ma non lo è: è una disciplina delicatissima, che richiede – come diceva Leopardi – almeno un decennio di studio “matto e disperato”. I miei libri sono volutamente economici, scritti in modo semplice e diretto, pensati per essere comprensibili a chiunque. In particolare li immagino utili ai familiari di chi vive accanto a un dipendente affettivo o a una persona affetta da depressione: chi spesso soffre in silenzio e cerca di capire, senza strumenti, cosa sta accadendo.

È stato tra i primi a lavorare online con pazienti italiani all’estero. In quali situazioni la terapia a distanza è un’opportunità vera, e quando invece rischia di diventare una scorciatoia?

Non è mai una scorciatoia. L’impegno richiesto al paziente è identico, e anche per il terapeuta il lavoro è lo stesso – se non, in certi aspetti, più complesso. Nei primi anni affrontai una vera e propria opposizione da parte di molti colleghi della generazione precedente, per i quali l’online sembrava una minaccia alla “vera terapia”.

Oggi invece è la norma. Seguo pazienti in tutto il mondo, in particolare italiani all’estero, che spesso hanno ancora più bisogno di un supporto psicologico, vivendo fratture identitarie, solitudini profonde, e talvolta traumi. Alcuni sono militari, impegnati in quella che considero la “Terza Guerra Mondiale a pezzi”. Gli unici limiti veri sono per me: posso osservare meno elementi corporei come la prossemica e la prosodia, che spesso rivelano stati emotivi profondi. Questo rende le sedute online più faticose, almeno per me.

Nei suoi interventi pubblici e social affronta temi complessi con parole semplici. Come si fa a parlare di psicologia senza banalizzarla? Dove si trova l’equilibrio?

Semplice: non si può. Almeno sui social, non c’è tempo né spazio sufficiente per spiegare con la dovuta lentezza e profondità. L’unica piattaforma che consente davvero di non banalizzare è YouTube, dove ci si può prendere minuti, anche ore, per articolare un discorso.

Per il resto, servono almeno due elementi: esperienza vera e autorevolezza, cioè la consapevolezza di cosa si può dire e come. E poi ci vuole una cultura del limite: come io non mi metto a parlare di fisica quantistica solo perché ne ho letto qualcosa, così chi non ha una formazione psicologica dovrebbe evitare di sostituirsi a chi ha studiato per una vita. Psicologia non significa “parlare di emozioni”, è una scienza del comportamento umano.

“Costruire ponti” è una metafora forte. Qual è, secondo lei, il ponte più difficile da costruire nella relazione terapeutica – e quello più importante da non far mai crollare?

Il ponte più difficile da costruire è quello con chi, per esperienze precoci disfunzionali – spesso legate a genitori assenti, incoerenti o pericolosi – ha imparato che affidarsi è rischioso. In quei casi, entrare in relazione è come provare a costruire un ponte tra la Spagna e gli Stati Uniti: uno sforzo immane, spesso invisibile, che richiede tempo, pazienza e cura.

Il ponte più importante da non far mai crollare è invece l’empatia. Non quella tecnica o “di mestiere”, ma quella autentica, che si nutre di ascolto emotivo profondo. Quando una persona entra nel mio studio – fisico o virtuale – deve sentire che io ci sono, che so cogliere e restituire ciò che prova, che non giudico e che, soprattutto, lo comprendo davvero. Senza questo ponte, tutto il resto crolla.


Intervista a Stefano Scatena: Psicologo e Autore
Redazione The Digital Moon

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