Cronache

Michela ed il suo ultimo “libro” chiamato “cancro”

“Il cancro non è una cosa che ho; è una cosa che sono”. Il cancro è un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare guerra al mio corpo, a me stessa. Il tumore è uno dei prezzi che puoi pagare per essere speciale. Non lo chiamerei mai il maledetto o l’alieno. Definirlo così sarebbe come sentirsi posseduta da un demone”.

(dall’intervista di Michela Murgia)

“Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente”.

(dall’intervista di Michela Murgia)

Queste sono le parole di Michela Murgia.

Michela è nata a Cabras, in provincia di Oristano, il 3 giugno 1972. È una scrittrice, blogger, critica letteraria ed opinionista italiana. È autrice di tanti libri, uno di questi è il mio preferito, tra l’altro.

Il libro in questione si intitola “Morgana, storie di ragazze che tua madre non approverebbe”. È una raccolta di racconti biografici, pubblicato nel 2019, con la collaborazione di Chiara Tagliaferri. Uno di quei libri che farei leggere proprio a tutti, uomini e donne, per aiutarli a comprendere che i ruoli assegnatoci sono solo pura ipocrisia e non fanno stare bene proprio nessuno, protagonisti della storia compresi.

Moana Pozzi, Santa Caterina, Grace Jones, le sorelle Brontë, Moira Orfei, Tonya Harding, Marina Abramovic, Shirley Temple, Vivienne Westwood, Zaha Hadid. Sono queste le dieci donne raccontate nel libro, battezzate da Morgana. Morgana non è un catalogo di donne esemplari. No, anzi! Loro sono streghe anche per loro stesse. Nell’antologia, si nomina spesso la “sindrome di Ginger Rogers”. Concetto altamente misogino, secondo il quale le donne sono migliori in quanto tali, quindi per stare sullo stesso palcoscenico degli uomini, devono saper fare tutto quello che fanno loro, ma all’indietro e sui tacchi a spillo.

Questo libro racconta delle Morgana, le stesse che sono riuscite a scardinare dei pregiuzi legati alla natura femminile, gentile ma, allo stesso tempo, sacrificale per le stesse donne. Le Morgana sono coloro le quali riescono a spostare i margini definiti dalla società della libertà della donna. In una situazione dove tante si ritrovano a soddisfare questi “margini”, arriverà sempre una Morgana a spostarli, finchè il confine e l’orizzonte collimeranno completamente. Fino a diventare un tutt’uno! Avete presente l’alba o il tramonto sul mare? Ecco! La sensazione sarà la stessa, se non ancora più bella.

Michela, in questi giorni, ha rilasciato una lunga intervista al “Corriere della Sera”. Non ha parlato di un suo nuovo libro. Nè, tantomento, di un suo progetto futuro.

Ha parlato del cancro che l’ha colpita, ormai al quarto stadio.

Ha descritto il suo stato d’animo in questo momento. Ci si aspetta di leggere tristezza o rabbia nella sue parole. Ed invece no! Era tutt’altro che arrabbiata o triste.

Michela ha parlato con una calma quasi invidiabile.

Ha addirittura specificato che la sua non è una lotta. A lei non piace parlare di guerra. È arrivata alla forte consapevolezza che il cancro fa parte di lei.

Lei ha parlato del cancro come ne parlo io.

Il cancro è infimo, è un qualcosa che nasce e cresce dentro di te, senza manifestare alcun segno. È un parassita, alimentandosi di tutto ciò che di buono è in te. Un esserino piccolo piccolo all’inizio, talmente piccolo da non essere rilevato in alcun modo, che può diventare talmente grande da risucchiare tutto ciò che ha intorno. E pure di più!

Il cancro non lascia via di scampo. Lo si può combattere, ma non sempre con risultati sperati.

Il cancro ti cambia, inevitabilmente. Sia dentro che fuori. Sia te che chi ti sta intorno.

Ricordo ancora quando abbiamo avuto la diagnosi di cancro che colpì la mia mamma. Cancro al seno, uno dei più aggressivi. Era già al terzo stadio. Ed era il 24 dicembre del 2016. Il 2017 è stato l’anno delle operazioni, della chemioterapia, della radioterapia. Terapie che non hanno sortito l’effetto sperato.

Come dimenticare la paura nei suoi occhi.

Sapevamo bene che non c’era tempo da perdere, così come eravamo consapevoli che sarebbero cambiate tante cose.

Il cancro della mia mamma colpisce solo il 30% delle donne e non è curabile.

Si può solo attendere la fine.

È una patologia che non va “toccata”, ma va solo trattata con le terapie, per alleviare, il più possibile, i dolori che ne scaturiranno.

Con mia mamma si sono accaniti. Posso dire benissimo che ci sono stati errori umani. L’uomo è portato a sbagliare, soprattutto quando davanti a lui si pone una sfida così ardua. Quell’impresa che stimola la sua mente, che mette alla prova le sue capacità, che lo fa combattere contro se stesso. Ho provato tanta rabbia, ma ora capisco anche che ci hanno provato. Hanno provato, sbagliando e forse senza neanche capirne la gravità, a salvare una donna adulta di soli 51 anni.

La mia mamma ci ha lasciati il 7 agosto del 2018. E’ spirata alle ore 11,45 circa di una caldissima mattina di agosto.

I mesi precedenti sono stati i più difficili, probabilmente. Io stessa la accompagnavo alle terapie e diventava sempre più dura muoverla. Si doveva imbottire di farmaci per poter fare anche solo dieci passi.

Michela e mia mamma hanno molte cose in comune.

Anche Michela ha 50 anni.

Anche Michela sta attraversando il lungo percorso tortuoso del cancro alle ossa.

Sì! Perché non è il cancro al rene o al seno il “problema”. Ma le eventuali metastasi, quel cancro “secondario” che colpisce altri organi. La mia mamma era piena, proprio perché il cancro primario che l’aveva colpita era davvero tanto aggressivo.

Quando il cancro arriva alle ossa, i medici non sono mai molto chiari. Ti prescrivono sedute di radioterapia, utili ad alleviare i dolori atroci. Ma non ti dicono che non c’è cura.

Del cancro puoi guarire, vero. Ma dal cancro alle ossa non si guarisce.

Puoi solo attendere la tua fine. Mano mano, quando i dolori si fanno sempre più forti, i movimenti sempre più lenti e faticosi, cresce la consapevolezza che molto probabilmente non ce la farai.

Gli aiuti psicologici ci sono ed andrebbero sfruttati. Al meglio, proprio per accettare questa tua nuova condizione.

Quando ho letto le parole di Michela ho immediatamente notato come lei fosse arrivata ad un altissimo grado di accettazione della malattia. Ne parla come se il cancro fosse suo, come un normale percorso della vita di ognuno di noi. Sa già che non ce la farà, che le mancano solo pochi mesi. Sa benissimo quale sarà la sua fine eppure… ne parla come se il cancro fosse uno dei suoi figli e non come una condanna.

Bisogna essere davvero tanto forti per arrivare ad un alto grado di accettazione come questo. E sicuramente non sarà stato facile. Come anche credo che Michela, nel profondo, avrà paura. Tanto paura.

Eppure non lo dà a vedere.

È bravissima a nascondere questa paura, anzi è quasi un sostegno per chi le sta attorno. Trasmette forza a tutti, con le sole parole, diffuse in una semplice intervista. Quella forza la conosco molto bene. È la stessa che aveva la mia mamma. Era lei che ci diceva di non preoccuparci, che sarebbe andato tutto bene. In cuor mio, però, sapevo bene quanto lei avesse paura, terrore di quel male che la stava divorando dentro.

Il cancro è così.

Sudbolo.

Silenzioso.

Letale.

Cosa pensa una persona malata oncologica?

Non sapremo mai cosa passa per la mente di una persona che scopre di avere un male incurabile. Sicuramente, sarà spinta da diverse tipologie di emozioni, che collimano tutte nella ricerca spasmodica di sopravvivere.

Io so cosa passa per la mente di un malato di cancro. E conosco anche molto bene la paura che subentra ad un familiare quando scopre la diagnosi.

Nonostante la mia memoria corta, ricordo ancora quel momento in cui scoprimmo di cosa era affetta la mia mamma.

Mi sono sentita mancare il terreno da sotto i piedi. Io, che conoscevo molto bene il cancro, perché studiato all’università. La mia mamma era stata colpita dal cancro al seno, lo stesso argomento di studio che ho portato all’esame di Anatomia Patologica. L’avevo guardato dal punto di vista di un’operatrice sanitaria, del tecnico di laboratorio che si ritrovava a preparare il pezzo anatomico per sottoporlo ad uno studio più accurato. Già durante il tirocinio, la sensazione era quella. Di paura, ma anche di compassione, per quella paziente, della quale conoscevo solo il nome ed il cognome, che si sarebbe dovuta sottoporre a cure molto dure. Avevo imparato tutta la teoria e la pratica che c’era dietro queste patologie. Ma non conoscevo minimamente gli occhi di chi aveva quelle patologie.

Un bel giorno, ho visto anche quelli. Gli occhi della mia mamma erano terrorizzati all’idea di dover intraprendere quel “percorso”, come le piaceva definirlo. Solo il termine “cancro” le provocava paura. Paura che è durata il tempo necessario. Anche perchè sappiamo bene che la paura offusca la razionalità, elemento importantissimo, in queste situazioni, per operare le scelte più giuste.

Il cancro ti segna. E non lascia solo segni visibili sul corpo, tra cui cicatrici e “tatuaggi”, quest’ultimi utili per la radioterapia, per “sparare” il punto preciso. Non si vede solo dai capelli persi, dalle occhiaie nere perenni, dall’eccessiva magrezza. Non lo noti solo dalla stanchezza cronica o dalle bandane colorate. Un malato oncologico lo riconosci dagli occhi e dalla forza che riescono a dare a tutti coloro a cui vogliono bene.

Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai”.

(dall’intervista di Michela Murgia)

Mi piace credere che Michela sia una delle Morgana di cui lei stessa ha scritto. Una di quelle che ha scardinato i pregiudizi dietro ad una malata oncologica. Una Morgana che ha insegnato a tutti la forza e la consapevolezza celate dietro una patologia così grave.

Grazie Michela.

Ti dico grazie perchè anche tu, nel tuo piccolo, stai riuscendo ad assottigliare quei limiti di cui tutti siamo vittime. E ti assicuro che quel confine e quell’orizzonte collimeranno e tu avrai vinto!

Ciao Michela.