Cronache

“Essere donna”, tra aspettative e stereotipi

Ciao a tutti,

sono Laura, ho 35 anni e sono donna, del sud precisamente!

Sono nata in provincia, ma cresciuta a Brindisi ed ho voluto fortemente rimanere nella mia città. Ho studiato qui, lavoro attualmente qui, seppur non con poche difficoltà. Durante il mio percorso di vita, mi sono dedicata a diverse attività, l’attivismo politico è stato uno di quelli. Quest’ultimo, insieme ai miei studi ed ora anche al mio lavoro, mi ha insegnato quanto fosse dura “essere una donna”, con un proprio pensiero e carattere, in una città del sud, soprattutto.

Cosa significa “essere donna” in una città del sud?

Ci hanno, da sempre, inculcato uno stereotipo abbastanza predefinito suoi ruoli dell’uomo e della donna, nella società.

Essere donna”, oggi, significa dover affrontare una serie di stereotipi ed aspettative sociali che, spesso, limitano la nostra libertà e capacità di realizzazione. Uno dei più grandi stereotipi riguarda l’idea di “essere una brava donna”. Concetto che racchiude un’immagine abbastanza precisa della donna e cioè quella dolce, premurosa, paziente e, soprattutto, sottomessa alle esigenze degli altri. Una brava donna è sempre pronta a sacrificarsi per la famiglia, il marito, i figli, la casa.

In parole povere, per la società, l’uomo è colui il quale deve andare a lavorare e portare i soldi a casa. Mentre la donna deve essere dedita alla casa ed alla cura del marito e dei figli. Il matrimonio, possibilmente in “tenera” età, già verso i 18-20 anni, così non diamo troppo da parlare alla gente!

La gente. Quel numero imprecisato di persone alla quale diamo un’importanza enorme, anzi se la prende tutta e facendolo vedere e pesare! È talmente forte, da farci influenzare totalmente la nostra vita. A tal punto da operare le scelte sulla base di ciò che potrebbe dire… la gente!

E la gente fa parte del contorno di una donna del sud!

Ho sempre combattuto gli stereotipi ed i pregiudizi, nonostante l’enorme difficoltà nell’allontanare certi dettami, i quali sono parte imprescindibile del tessuto sociale in cui vivo. Ti riesce quasi naturale pensarla come tanti, anzi è quasi impossibile non circondarti di persone con “certe idee”.

Vedi quella com’è vestita!

Ma quando ti sposi?

Ma perché non fai un figlio?

Forse dovresti dimagrire!

Dovresti mangiare di più!

Sono questi alcuni dei tanti, troppi pregiudizi mascherati da consigli, che la gente arriva a pensare ed a dire, senza scrupolo alcuno. Non calcola minimamente i sentimenti, il carattere, il momento che sta passando chi li riceve, le emozioni che potrebbero suscitare, la “semplice” volontà di non voler ascoltare certi consigli non richiesti.

In una società chiusa, bigotta, ipocrita, sono totalmente assenti gli stimoli, utili da poter anche solo pensare che possa esistere una realtà diversa da quella che vivi tu.

Devi essere davvero tanto forte per essere DIVERSA!

Ti guardano male qualora dovessi vestire in maniera più eccentrica!

Immaginate cosa succede quando hai qualche chilo in più, oltre a vestire in maniera più eccentrica!

Ti puntano il dito contro qualora non volessi o non potessi avere figli!

Ti schifano qualora dovessi amare una persona dello stesso sesso o ti urlano contro qualora dovessi ribellarti ad un capo che vorrebbe sottometterti!

E tanto altro!

Forse, anche da questi pregiudizi che scaturisce il concetto che ci segna in ogni aspetto della nostra vita: “DONNA=SESSO DEBOLE”!

È da questo concetto che nascono tutte quelle iniziative, che dovrebbero portare all’accettazione della donna. Iniziative che, a mio avviso, non fanno altro che incancrenire la discriminazione e la disuguaglianza alle quali siamo sottoposte ogni giorno.

Una di queste, che reputo possa solo incentivare la disuguaglianza di genere è, appunto, la “quota rosa”. Uno dei tanti provvedimenti che la società ha introdotto per risolvere uno dei tanti problemi che affliggono noi donne. L’idea descritta di “brava donna” ci fa sentire talmente in trappola che, a volte, si esclude totalmente la possibilità di avere una carriera, di essere ambiziose o di avere una vita indipendente. Proprio perché si ha la convinzione che la donna debba essere sempre dolce e premurosa. È sempre più frequente il fatto che non venga presa sul serio nelle situazioni professionali e che venga esclusa da certi ambienti.

Ma cosa sono le “quote rosa”?

È un provvedimento, disciplinato dalla legge e generalmente temporaneo. Garantisce la rappresentatività delle donne in varie classi dirigenti, nel pubblico e nel privato (vertici aziendali, consigli di amministrazione, liste elettorali), definendone, quindi, una percentuale minima di presenze.

In merito a ciò, in Italia, si è proposto ed ottenuto la modifica dell’art.51 della Costituzione, avviando una serie di interventi, utili a garantire una partecipazione paritaria alle cariche elettive. E’ così che nascono il “Codice per le pari opportunità” (D.Leg. n.198/2006) e la “Normativa sulle quote di genere” (L.N.120/2011).

Quest’ultima, in particolare, serve ad assicurare ed incrementare la rappresentatività della figura della donna negli organi di amministrazione e di controllo di società pubbliche e di azioni. A questi, si aggiungono L.N.215/2012, il quale regola la presenza femminile in consigli, giunte di enti locali e nei consigli regionali e L.N.165/2017, che promuove un maggiore equilibrio di genere nella formazione delle liste elettorali.

In poche parole, le “quote rosa” hanno obbligato le aziende ad assumere donne, soprattutto in posizioni di potere. Sicuramente hanno aiutato, ma non si può certamente non sottolineare che le quota rosa non siano un modo per legittimare l’idea che le donne siano meno capaci degli uomini e che abbiano bisogno di una mano per raggiungere il successo.

Negli anni, con il susseguirsi dei governi, si è sempre parlato della donna e del suo ruolo nella società odierna. La discriminazione la si tocca con mano ogni giorno, attraverso atteggiamenti come lo stalking, il mobbing e violenze varie, che arrivano ad influenzare la propria vita, lavorativa e privata. La politica prende posizione in merito, attraverso giornate e promuovendo iniziative per un’accettazione più egualitaria della donna, appunto. Ma ancora non basta!

I dati ISTAT dell’anno 2018 hanno registrato che, nell’Unione Europea, le donne guadagnano circa il 15% in meno rispetto agli uomini, intesa come retribuzione lorda oraria. Un divario presente in ogni Stato europeo, seppur con alcune differenze.

La differenza maggiore nella paga oraria si ha nella professione da manager, con una differenza di circa il 23% in meno per le donne, mentre la percentuale si abbassa in lavori impiegatizi (come segretarie) ed in quelli dei servizi e del commercio.

Nonostante la Costituzione, attraverso l’art.37, garantisca la parità salariale tra uomo e donna, ribadito anche dall’art.157 del “Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea”, si pensa che la donna venga pagata meno, rispetto all’uomo, in quanto svolgono lavori meno qualificati e, quindi, meno retribuiti. Inoltre, è convinzione abbastanza comune il fatto che la donna accetterebbe posti più “umili” rispetto all’uomo, perché impegnata nell’accudimento dei figli e la cura della casa, avendo così meno tempo da dedicare al lavoro.

Sebbene, quindi, gli sforzi per combattere la disparità di genere, ancora oggi le donne guadagnano meno degli uomini, seppur facendo lo stesso lavoro. Questo implica meno risorse finanziarie, per le donne, da investire nella propria formazione o per realizzare i propri progetti.

È abbastanza palese come il divario tra uomo e donna esiste ed è tangibile!

Una società civile, o almeno che si possa definire come tale, non parla di discriminazione e disuguaglianza, ma fa di tutto per eliminare questi limiti, primi fra tutti quelli mentali.

È ovvio che quest’opera diventa difficile quando si vive una società maschilista e bigotta. La gente di cui parlavo prima è la prima ad attuare tutta quella serie di atteggiamenti che non fanno altro che creare più divario. Dovremmo iniziare tutti a valorizzarci di più e pretendere un trattamento egualitario. Pura utopia, lo capisco!

Il tutto si aggrava se persone che ricoprono cariche pubbliche diffondono messaggi altamente discriminanti, in trasmissioni con alto audience, come “Belve”, un programma diretto da Francesca Fagnani. Lei è una delle pochissime giornaliste che apprezzo, proprio per la sua capacità di intervistare gente di un certo calibro, affrontando tematiche non solo sociali molto importanti, con la giusta sensibilità, mista ad ironia.

Sintomo questo, per me, di una grande intelligenza. L’intervista in questione è quella di Ignazio Larussa, attuale Presidente del Senato. Ha dichiarato: “la parità di genere si avrà quando una donna grassa, brutta e scema ricoprirà incarichi importanti…perché ci sono già uomini grassi, brutti e scemi che svolgono ruoli importanti”.

Analizzando attentamente quello che il Presidente del Senato ha detto, in una rete pubblica tra l’altro, ci si rende conto di come abbia offeso pesantemente le donne. Seppur lui abbia detto il contrario, “un grosso complimento per le donne come la vedo io” cito testualmente!

Insinuare che “le quote rosa scompariranno quando una donna grassa, brutta e scema rivestirà un ruolo importante”, dimostra che è ancora tangibile il binomio “corpo/lavoro”. Binomio attivo solo per il genere femminile. Entrando nello specifico. Si presume che una donna debba arrivare a ricoprire certi ruoli solo per l’aspetto esteriore e non per le sue capacità o gli studi che ha completato. Idee che non si partoriscono mai in caso degli uomini!

È grave che un uomo, dal calibro di Larussa, che ora ha un’importante carica pubblica, arrivato lì anche grazie ai voti di quelle donne che giudica tanto, possa fare certe dichiarazioni, in TV. E tutto ciò, come è ben comprensibile, non aiuta certo nello sradicare certe convinzioni. Le quali non incentivano alla parità dei sessi che tanto viene millantata, ma che, ad oggi, è pura utopia (almeno toccando certe tematiche!).

Cosa si può fare per superare certi pregiudizi?

È fondamentale cominciare dalle piccole cose. Il rispetto delle scelte e dello spazio altrui può essere un buon inizio!

Invece di giudicare una donna che non vuole o non può avere figli dovremmo iniziare a sostenerla e comprendere le motivazioni della sua scelta. È assai probabile che non possa averne o, magari, ha bisogno di realizzarsi nel suo campo lavorativo, dando meno importanza all’aspetto privato. Non è meno madre rispetto ad una che ha deciso, da giovane, di dedicarsi interamente alla famiglia ed alla costruzione della stessa.

Stesso discorso è applicabile a tante altre tematiche, utilizzate per creare divario ed usate per giudicare le altre donne. Come se chi giudica abbia bisogno di pulirsi la coscienza delle scelte operate. Per fare ciò, per non analizzare cosa va e cosa non va nella propria vita, abbia bisogno di guardare cosa c’è intorno, facendone addirittura un “problema”!

Si deve iniziare dalle piccole cose per poter pretendere di cambiare il grande.

Anche se non sembrano, ma i pregiudizi possono essere considerati una violenza, quindi non possiamo appoggiare la lotta contro la stessa se, per primi, giudichiamo chi è semplicemente diverso da noi!

“Essere donne” oggi significa dover affrontare tante sfide che si presentano davanti e superare le aspettative sociali che limitano, di gran lunga, la nostra libertà e, soprattutto, la realizzazione personale. E’ importante, di conseguenza, lottare per i nostri diritti e per la parità di genere, sia nella società che nel lavoro, combattendo, a denti stretti, i pregiudizi che ci ostacolano nella vita quotidiana.

Concludo, citando parte del discorso di Larussa, modificandone una parte essenziale così da cercare di riparare ciò che ha volontariamente distrutto:

Le quote rosa continueranno ad esistere se non si combatteranno giudizi e pregiudizi, tra e nei confronti delle donne. Fin quando le stesse non saranno sostenute, appoggiate, tutelate nelle loro scelte e qualora dovessero ricevere ancora e solo mancanze di rispetto!”.