Cinema

“C’è ancora domani”, una Paola Cortellesi paladina delle donne

26 ottobre 2023. No, non si tratta di un compleanno di una persona amata. E no, non è legata, quindi, ad altri eventi personali.

È così, però, che vorrei iniziare questo mio nuovo articolo, con una data che segna, secondo me, un debutto molto importante, di un evento che potrebbe segnare la nostra storia.

In quel giorno esce, infatti, nelle sale cinematografiche italiane, “C’è ancora domani”, di Paola Cortellesi, un film del quale si parla tanto in questi giorni. Talmente tanto da essere conosciuto anche fuori Italia. Un orgoglio senza limiti, lasciatemelo dire!

Il successo è stato travolgente, tanto da essere candidato a ben 19 nomination ai David di Donatello 2024. E, secondo me, potrebbe vincerli tutti!

Ammetto di non averlo visto in quell’occasione. In quel periodo se ne parlava sì, ma non con così tanta enfasi, come oggi.

L’ho un po’ sottovalutato anche, leggendo la trama. Ho atteso che uscisse sulla piattaforma Netflix, per vederlo e, nel caso, dare una conferma ai miei pensieri.

Il film è ambientato nella Roma della seconda metà degli anni ’40, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una Roma divisa in due tra la Liberazione e la miseria lasciata dalla guerra. Racconta la storia di Delia, moglie di Ivano, dal quale ha avuto tre figli. Una famiglia umile, che non vive certamente in un clima sereno e disteso.

Ivano è il capofamiglia, padre padrone e, quindi, capo supremo. Il “classico” uomo che lavora duramente per portare qualche soldo a casa ed ogni occasione è buona per farlo presente, con toni accesi e, molte volte, con cinghia di cuoio.

Da quello che si può intuire, Delia è una donna, assolutamente non realizzata, moglie fedele e madre. Non ambisce e non può ambire ad altro. Con l’arrivo della primavera, arriva la notizia del fidanzamento della primogenita Marcella con Giulio, figlio di una famiglia ricca. Delia vorrebbe un matrimonio da favola per la figlia e lavora duramente per realizzare il suo sogno. Marcella spera tanto in quel matrimonio, per liberarsi delle oppressioni della sua famiglia. Ed anche Delia ha la stessa speranza.

L’arrivo di una lettera per Delia, a nome di Delia, cosa che non era certamente usuale a quel temppo, le darà una forza ineguagliabile.

Sarà la stessa a darle il giusto coraggio per ribaltare la loro condizione ed ambire, finalmente, ad un futuro migliore, anche per sé stessa.

Durante il film, non sono certamente mancate le scene di violenza, rese meno “violente” visivamente, ma dalla chiara interpretazione.

È un film chiaramente femminista, che rappresente la condizione di sottomissione ed anche di rivalsa delle donne dell’epoca.

Avevo dei pregiudizi nei confronti di questo film. O, meglio, più che pregiudizi dei pensieri, dai! Ho pensato fosse un altro film che esaltasse la figura maschile e del suo “ruolo” di principe che salva la principessa in difficoltà. Mi aspettavo la classica storia di una donna che trova rifugio nelle braccia di un altro uomo, perchè da sola non riesce a “salvarsi”.

Nulla di tutto ciò!

La Cortellesi è riuscita, tra l’altro come sua prima volta da regista, a rappresentare l’esempio di una donna dell’epoca, sottomessa al marito violento, dedita alla famiglia e senza alcun tipo di realizzazione personale. È stata capace di raccontare cosa subivano le donne di quel tempo, cosa significava essere una donna di quel tempo. Con un finale a sorpresa, che non rivelerò, ma che è significativo.

Una cosa, però, risalta immediatamente agli occhi di chi lo guarda.

Sono state tante, forse troppe, le somiglianze con alcune situazioni che si vivono ancora oggi, nel 2024, a distanza di più di 80 anni.

Quante donne, oggi, vivono l’inferno della sottomissione?

La sottomissione ad un marito violento è una realtà dolorosa ed opprimente, vissuta da milioni di donne ancora oggi, purtroppo. Questa forma estrema di violenza domestica non solo mina la dignità e l’autonomia delle donne, ma le imprigiona in un ciclo di paura, dolore e disperazione.

Essere sottomesse da un marito violento significa vivere sotto il costante gioco dell’abuso emotivo e fisico. Le donne coinvolte in relazioni abusive, spesso, subiscono minacce, umiliazioni, manipolazioni e coercizioni da parte del proprio partner. La paura delle conseguenze di un eventuale rifiuto o ribellione li tiene prigioniere in una spirale di terrore e silenzio. Le violenze fisiche possono variare da aggressioni verbali, schiaffi, spinte, fino ad arrivare a vere e proprie torture.

Questa condizione di sottomissione causa la perdita graduale dell’autonomia e della sicurezza personale. Le donne si ritrovano, spesso, isolate dai propri amici e familiari, controllate nei loro movimenti e nell’uso delle risorse finanziarie. La paura di provocare ulteriori attacchi può portarle a rinunciare alla propria libertà ed alla possibilità di cercare aiuto.

Ciò che rende ancora più insidiosa la sottomissione di una donna ad un marito violento è la ciclicità del comportamento abusivo. Dopo un episodio di violenza, il partner può mostrare pentimento e promettere di cambiare, inducendo la vittima a credere che le cose possano migliorare. Però, questa tregua è spesso di breve durata ed il ciclo di abuso e sottomissione ricomincia, rendendo difficile per la donna rompere il legame tossico.

Tutto ciò che ho appena descritto, si può vedere nel film e, purtroppo, tanto altro.

Alla fine del film, come già detto pocanzi, il mio pensiero è stato quello di aver trovato delle similitudini con la condizione di tante donne di oggi. Cosa che non mi ha reso felice, devo dire, proprio perchè ci si aspetta che, in questi 80 anni, qualcosa dev’essere pure cambiato. Questo assoggettamento al marito, padre padrone e capo famiglia, che annulla completamente il loro essere, sia donna che persona è una situaziuone che, nel 2024, è protagonista di tante storie. E parecchie le ho accanto, ancora ora, ma senza che il mio aiuto avesse sortito alcun esito positivo. Purtroppo!

La violenza è, ad oggi, ancora troppo presente. In ogni sua forma.

Si usa la violenza fisica per farsi temere e non ricevere rifiuti o accendere discussioni.

La violenza economica serve per avere il pieno controllo della vittima.

Quella verbale è utile ad affermarsi come persona, per soddisfare ogni proprio bisogno.

Mi fa paura la facilità con la quale si cade nella provocazione, rispondendo con offese, insulti, minacce, intimidazioni e limitazioni della libertà.

Mi fa specie come, tante persone siano ancora poco consapevoli della violenza, così come non riesco a comprendere come non ci si possa fermare in tempo.

Oggi, anche grazie all’informazione ed alle notizie che si sentono quotidianamente, è abbastanza semplice riconoscere i segnali di un rapporto tossico. E, questo, ci permetterebbe di salvarci da eventuali forme di violenza.

Il film elenca tutte quelle forme verbali, come “Stai zitta!” ad esempio, un chiaro esempio di limitazione delle libertà di chi lo sente dire.

Quante volte ci siamo sentite dire “Stai zitta!”?

Io tante, troppe volte. E ci provano ancora ora, nonostante tutto!

Per non parlare degli stipendi, ancora troppo più bassi rispetto a quelli degli uomini, solo perchè siamo donne. Ed il problema della disuguaglianza di trattamento sul posto di lavoro, non solo economico, è ancora ben visibile. Ad un colloquio, ad esempio, a noi donne viene ancora richiesta la nostra intenzione o meno di avere dei figli. Come se, essere donne e mamme sia una condizione di limite rispetto alla propria carriera lavorativa.

E qui potrei elencare tante altre forme di violenza, delle quali siamo ancora vittime.

Rompere il silenzio e chiedere aiuto è spesso il primo passo verso la liberazione.

Nonostante le sfide, molte donne che sono state sottomesse da un marito violento trovano la forza di lasciare la loro situazione ed intraprendere un percorso verso la rinascita e la guarigione. Con il sostegno di organizzazioni specializzate, di amici e familiari solidali, queste donne possono ricostruire la propria vita, riscoprire la propria dignità e trovare una nuova speranza per il futuro.

Proprio come ha fatto Delia nel film, tutte possiamo trovare la forza ed il coraggio per cambiare la nostra condizione di sottomissione. Tutte possiamo ribellarci ed ambire ad un futuro migliore. Per tutti, ma soprattutto per noi stesse.

Non smetterò mai di parlare di accettazione di noi stesse e di amor proprio. Non posso farlo! Ci sono ancora tante persone che non si amano, che alimentano la tossicità in loro stessi, riversandola, poi, inevitabilmente, anche sugli altri.

Un percorso con noi stessi ci può aiutare tantissimo ad affrontare e comprendere ciò che non ci piace e ritrovare la nostra persona. Essendo un viaggio molto lungo e difficile, possiamo chiedere aiuto ad uno specialista, esperto che ci può aiutare anche a riconoscere e prendere consapevolezza di essere vittime (o carnefici) di violenza.

La violenza si può combattere.

Non siete sole!

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