Cronache

“Signora, ha goduto?”. Lo stupro trasformato in monologo

Muoviti puttana, devi farmi godere”.

(dal monologo “Lo Stupro” di Franca Rame)

È questo che Franca Rame ha sentito più volte, durante il suo stupro, avvenuto nel 1973. A quel tempo, con l’aiuto del marito, non solo ha avuto la forza di denunciare, ma ne ha scritto anche un monologo, dal titolo “Lo Stupro”, appunto.

Perchè prima di puntare il dito contro una donna che ha subito uno stupro e chiederle: “Ma com’eri vestita?”, bisognerebbe ascoltare attentamente le parole di Franca.

Le sue emozioni traspaiono e si possono quasi toccare con mano. Ecco perché, spero, possa essere un modo, per tanti, per giudicare meno ed essere un sostegno più solido.

Ma chi era Franca Rame?

Anche conosciuta come Franca Pia Rame, è stata un’attrice teatrale, drammaturga e politica italiana. Nata a Parabiago, il 18 luglio 1929, sposò l’attore Dario Fo, matrimonio dal quale nacque il figlio Jacopo. È morta a Milano, il 29 maggio del 2013.

Era il 9 marzo del 1973. Franca fu rapita, caricata di forza su un furgone, serviziata e, infine, anche stuprata da cinque uomini, militanti neofascisti. La sua “colpa”? Essere la moglie di Dario Fo, considerato un “rosso” per eccellenza. A questo, si aggunge la sua collaborazione con il “Soccorso Rosso”, un’organizzazione nata prima per aiutare gli operai nelle lotte di fabbrica ed ai militanti colpiti nella repressione, poi per fornire assistenza legale, economica e monitoraggio delle condizioni dei militanti di sinistra nelle carceri italiane. Questa “colpa” era davvero troppo da sopportare, tanto da rapirla, trascinarla su un furgone, violentarla a turno. Nel mentre, ha subito torture di ogni genere, le hanno spento diverse sigarette sul corpo e le hanno procurato tagli con affilate lame.

Per questo stupro di gruppo, nessuno fu condannato. Anzi, dopo 25 anni, il reato cadde in prescrizione.

Nel suo monologo, Franca ha riportato anche delle domande fatte dal personale di polizia, sanitario e dagli avvocati difensori degli stupratori dell’epoca. Domande a dir poco agghiacciati!

MEDICO: “Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere, un’inconscia soddisfazione?”


POLIZIOTTO: “Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?”


GIUDICE: “È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?”


MEDICO: “Si è sentita eccitata? Coinvolta?”


AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI: “Si è sentita umida?”


GIUDICE: “Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?”


POLIZIOTTO: “Lei ha goduto?”


MEDICO: “Ha raggiunto l’orgasmo?”


AVVOCATO: “Se sì, quante volte?”

(dal monologo “Lo Stupro” di Franca Rame)

Si evince molto chiaramente che sono tutte domande, allusioni che tendono a sottolineare una certa consensualità da parte della donna, arrivando quasi a presupporre una sua partecipazione all’atto, provandone piacere. Come se fosse una cosa normale tutto questo! La cosa sconcertante è che proprio chi avrebbe dovuto comprenderla e sostenerla, si è rivelato, invece, privo di sensibilità ed empatia. Senza pensare che, al posto di Franca, si sarebbe potuta trovare qualsiasi altra donna, magari la loro madre, moglie, figlia.

Si può ben immaginare quanto uno stupro possa suscitare non poche emozioni, tutte molto forti e perenni, con le quali devi imparare a convivere ogni giorno. Nonostante Franca Rame abbia subìto tutto questo quasi 50 anni fa, ha avuto il coraggio di denunciare i suoi aggressori ed a fare, del suo macabro racconto, un monologo. Questo perchè sapeva bene che poteva essere d’aiuto a tante altre donne che avrebbero potuto ritrovarsi nella stessa situazione. Perchè possono cambiare i volti, i luoghi, i rapporti, ma le sensazioni, le brutalità, le cicatrici sono le stesse… per tutte!

Ho paura, sta per capitare qualcosa, lo sento. Respiro a fondo… due, tre volte. Ma non riesco a snebbiarmi. Ho soltanto paura”.

(dal monologo “Lo Stupro” di Franca Rame)

La paura. Quel sentimento primario che nasce da una situazione di pericolo. E la paura è uno di quei sentimenti in comune a tutte le storie di violenza. Hai paura di non farcela, di non rivedere più i tuoi cari, di non uscirne viva. Hai paura di ciò che potrebbe succedere dopo.

“Se non dovessero credermi?”.

È colpa mia, non avrei dovuto!”.

E tanto altro ancora.

Hai paura del domani, del futuro. Pensi a come dover raccontare cosa ti è successo e, magari, a come dover gestire le domande di tutti. Tu che non riesci a gestire te stessa, dopo che hanno violato la tua intimità e schiacciato la tua dignità. Tu che sai bene che dovrai ricostruire, “mattone per mattone”, te stessa. Sai bene che non sarai più quella che eri, ma non sai chi diventerai.

La paura di dover affrontare personale sanitario, medici, forze di polizia, avvocati, giudici. Di dover rispondere a domande scomode. Di dover dar conto di un tuo abbigliamento, considerato troppo provocante, o di un tuo atteggiamento, fraintendibile per i più. Come se una donna non abbia la possibilità di rifiutarsi comunque, anche se la situazione è partita come accondiscendente da entrambi le parti. Almeno all’inizio!

Io non so cosa debba fare una persona in queste condizioni, io non riesco a fare niente, mi sento come proiettata fuori, affacciata ad una finestra, costretta a guardare qualcosa di orribile”.

(dal monologo “Lo Stupro” di Franca Rame)

Ad un certo punto, il monologo riporta fedelmente un’altra forte sensazione suscitata da quel momento. Tu non sei lì, o ci sei solo carnalmente. Il tuo corpo è lì, fermo, a soddisfare i bisogni perversi di soggetti privi di umanità. Di mostri che hanno a cuore solo un loro bisogno fisico ed una soddisfazione mentale di possedere la loro preda. E tu sei con la testa da un’altra parte, sei proiettata fuori, a “guardare” cosa ti stanno facendo. Ho scoperto essere, poi, una difesa da parte della tua mente, per allontanare quell’evento traumatico al quale ti stanno obbligando. La proiezione di sé stessi al di fuori del proprio corpo è una condizione abbastanza diffusa, in caso di stupro. Questo descrive quanto un evento così possa essere violento e traumatico, un qualcosa che ti influenzerà per il resto della vita!

Non conosco più nessuna parola, non capisco nessuna lingua. Sono di pietra”.

(dal monologo “Lo Stupro” di Franca Rame)

Dopo che hanno violato la tua intimità, ti hanno offesa, oltreggiata, insultata, calpestata come volevano, ovviamente sei spoglia, nuda, ferita. Sei talmente priva di anima che ti senti proprio come una pietra. Fredda, distrutta, erasa, inanimata.

Mi chiudo la giacca sui seni scoperti. Dove sono? Al parco. Mi sento male… mi sento male proprio nel senso che mi sento svenire… e non soltanto per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per la rabbia, per l’umiliazione, per lo schifo… per le mille sputate che mi son presa nel cervello… per… quello che mi sento uscire”.

(dal monologo “Lo Stupro” di Franca Rame)

Il post stupro è, forse, uno dei momenti più difficili. Una volta che loro hanno terminato le loro porcate, rimani tu, arrabbiata, umiliata e piena di dolore, a leccarti le ferite. Resti sola, con te stessa ed un grosso problema da risolvere. Inizialmente, non pensi di doverti difendere in qualche modo. Vuoi solo “pulirti”, togliere dalla tua pelle quello schifo, quegli odori, quei liquidi e sperare che passi. Ma non passa! Almeno, non così facilmente!

Solo successivamente pensi che sarebbe meglio parlarne con qualcuno, prima con una persona vicina, poi con qualche esperto, magari, che possa meglio indicarti la strada giusta per avere giustizia. Ed è così che inizia il percorso della “denuncia”. Tu sei lì a raccontare la tua intimità violata, a dare dettagli, nomi, volti, espressioni, particolari sull’abbigliamento, sui luoghi, sulla dinamica.

Una denuncia prevede anche che il tutto sia refertato, tramite l’ausilio di operatori sanitari, ginecologhe, ostetriche, infermiere, psicologhe, all’occorrenza psichiatre. Accompagnata dal personale di polizia, inizi il lungo percorso di prelievi e refertazioni, utili per costruire un processo che possa darti finalmente giustizia.

Il dopo? Ovviamente, il percorso psicologico è d’obbligo in questi casi, come anche farsi seguire da un bravo avvocato. Lo psicologo può aiutarti a metabolizzare la violenza subita e ricostruire la nuova te stessa, con nuove consapevolezze, nuovi progetti di vita, mentre l’avvocato è essenziale perchè sarà la tua voce in tribunale. È importante sapere che, in caso di violenza, l’avvocato accetta il patrocinio gratuito dello Stato, qualunque sia il tuo reddito.

Gli strumenti per denunciare ci sono. Non ci sono scuse per non doverlo fare!

Con questo non voglio assolutamente dire che sia facile. NO! Anzi! Non è semplice sedersi davanti ad un poliziotto e raccontare cosa ti hanno fatto, sottoporti a domande che violano la tua intimità, dare dettagli sui loro volti, profumi, abbigliamento, luoghi. Non sono assolutamente una passeggiata le varie visite, prelievi, controlli ai quali ti dovrai sottoporre nell’anno. E non voglio parlare di eventuali gravidanze che ne potrebbero scaturire! In quel caso, capite bene che le emozioni sono incontrollabili. E tu sei una vera e propria pentola a pressione! Potrei sottolineare la paura nell’affrontare eventuali incidenti probatori, con le domande degli avvocati di parte tutt’altro che “comode”.

So cosa si prova! Hai solo paura e ti senti fragile. Non sei pronta ad affrontare tutto questo e comprendo bene! Ma non ci sono scuse per non avere la giustizia che meriti!

La denuncia, come detto prima, prevede anche un percorso psicologico. Sicuramente molto duro, è però utilissimo per far diventare questo evento traumatico un’esperienza dalla quale imparare e far nascere la tua nuova IO!

Ehi tu, amica mia. Volevo dirti che NON sei sola! Qualora non dovessi farcela, ci sono io insieme a te. Insieme, possiamo essere quella forza di cui hai bisogno per affrontare questo capitolo difficile della tua vita. Quel capitolo così lungo e così duro da chiudere. ATTENZIONE! Da chiudere e non da eliminare. Perchè, anche da un’esperienza così forte e traumatica, ne puoi uscire pulita e rinata. Una persona nuova, la quale ora ha la forza di ribellarsi a tutto ciò che vuole schiacciarla. La cicatrice ti rimarrà a vita. Sarà quel tatuaggio non visibile, lungo tutto il tuo corpo. Non sarà visibile agli altri, ma tu sai che c’è. Farà male, non posso negarlo. Ma ti sarà da aiuto a scegliere ed a puntare i riflettori della tua vita sulla vera protagonista.

TE STESSA!