Cronache

Le madri d’onore, le donne della mafia

Nell’articolo precedente, ho sentito il bisogno di parlare di come, negli anni ’90, i miei occhi da bambina guardassero la realtà, triste ma senza che io ne fossi consapevole, che vivevo e le emozioni che mi suscitava. Una condizione presente ancora oggi e che influenza pesantemente la cultura del Mezzogiorno.

La mafia, ricordo, è quell’organizzazione che è viva sul territorio di Puglia, Campania, Calabria e Sicilia, principalmente, ma si è diffusa in altri territori. La sua presenza, alquanto ingombrante, si palesa con atteggiamenti che tutto sono tranne che aperti, culturalmente avanti e che lasciano presagire una svolta futura.

Non posso non sottolineare quanto una situazione così pesante possa condizionare negativamente eventuali cambiamenti e cambi di rotta, seppur, negli anni, si siano fatti grandi passi in avanti (e non senza conseguenze!). Almeno, ad oggi, se ne parla e si prende posizione contraria, nonostante la paura che qualcosa potesse capitare!

L’influenza della mafia trova terreno fertile in quelle aree dove la disparità di genere è molto accentuata. Il Mezzogiorno, appunto, quella zona che, forse, si può considerare culturalmente meno sviluppata. Proprio perché sono ancora presenti pregiudizi e stereotipi legati, soprattutto, alla considerazione che si ha delle donne.

Preciso che io vivo in Puglia, in una città capoluogo di provincia, piena di storia e di architettura, con un porto naturale a forma di testa di cervo e dove il buon cibo ed il sole certamente non mancano. Ma tutta questa atmosfera romantica ed affascinante, piena di storia, è rovinata da atteggiamenti malavitosi, non senza essere accompagnati dall’ignoranza della gente.

Ma come sono trattate le donne nella mafia?

È un fatto rilevabile come la donna, all’interno dell’organizzazione mafiosa, abbia un ruolo completamente invisibile, succube, sottomesso. Non entrerà mai a farne parte, seppur partecipandone attivamente alle dinamiche.

C’è da sottolineare che alle donne è vietata la loro identità autonoma, in quanto sono conosciute e riconosciute come “la moglie”, “la sorella”, “la figlia” del boss. Condizione che dona loro, però, forza ed indipendenza. La loro presenza è, semplicemente, legata a compiti della sfera privata, in particolare alla loro capacità riproduttiva ed educativa.

Nello specifico, si occupano dell’educazione dei figli (maschi e femmine), dello stimolo alla vendetta, della garanzia della reputazione maschile e del combinamento dei matrimoni. Inoltre, sono addette al sostegno e, all’occorrenza, alla sostituzione degli uomini. Inoltre, sono parte attiva nel rafforzare il potere della mafia.

In virtù di quanto detto, si crede che la donna abbia, quindi, un ruolo da vittima e da ribelle, ma in realtà vede e sente tutto.

Per testimoniare quanto detto, riporto le parole di Leonardo Messina, un collaboratore di giustizia, il quale racconta: “La donna non è mai stata, né sarà mai affiliata ma ha sempre avuto un ruolo fondamentale”. Continua dicendo: “La donna non si è mai seduta intorno al tavolo per una riunione ma c’è sempre stata lo stesso. Molte riunione si sono svolte in casa mia, o in quella di mia madre o di mia sorella. Sentono tutto ma non possono dire nulla. Le donne sono portatrici di segreti”.

Quale è il ruolo delle madri?

Fatta questa premessa, è alquanto palese che alle madri spetta il ruolo di trasmettere e consolidare i valori della mafia ai figli. Questo passo è fondamentale per la formazione della loro identità mafiosa.

La famiglia, infatti, in questo come in altri contesti, ha un ruolo centrale nell’educazione dei bambini e delle bambine, i/le quali respirano e si formano con i dettami imposti, senza subire alcuna influenza esterna.

I figli come vengono cresciuti?

L’educazione dei figli si diversifica a seconda del genere degli stessi, come facilmente intuibile.

In caso dei maschietti, le madri inculcano loro valori come l’omertà, la virilità, la forza, l’obbedienza cieca. Essi sono amati ed accuditi, nel momento in cui dimostrano di soddisfare le aspettative mafiose della famiglia.

In caso delle femminucce, invece, le madri inculcano loro la completa subordinazione all’autorità maschile, imparando ad essere passive, ascoltando il maschio e soddisfacendo le sue richieste.

È molto importante la provenienza familiare della donna che diventerà “la moglie del boss”.

In tal proposito, Leonardo Messina racconta: “Il patrimonio di un uomo d’onore è principalmente avere una donna consapevole del suo ruolo”. Continua dicendo: “Io ho sposato la nipote di un capomafia, ci completiamo a vicenda”. Ed aggiunge: “Quando tornavo a casa, davo a lei la pistola o gli indumenti sporchi da buttare. Mia moglie si rendeva conto di quello che facevo”.

Cosa succede qualora i figli dovessero decidere di collaborare con la giustizia?

Non ho detto che le donne sono più conservatrici dei valori mafiosi, rispetto agli uomini, quindi arrivano addirittura a dare addosso ai figli che decidono di collaborare con la giustizia. La loro colpa? Aver tradito l’organizzazione e la regola di cui le madri stesse si fanno portatrici. La regola del silenzio.

Marianna Bruno, ad esempio, una volta che venne a conoscenza del ruolo dei suoi figli (Emanuela e Pasquale Di Filippo) alla cattura del boss Leoluca Bugarella, cognato di Totò Riina, disse: “Non sono figli miei, forse non sono stata io a farli, è stato un sogno”.

E se I collaboratori di giustizia dovessero essere gli stessi mariti?

In questo caso, i figli diventano oggetto di ricatto, contro, ovviamente, il marito infame. Quando Pasquale ed Emanuele Di Filippo si sono “macchiati” del ruolo di collaboratori di giustizia, Giusy Spadaro ed Angela Marino, le loro mogli, hanno dichiarato: “Siamo le ex mogli di quei due pentiti bastardi. Per noi loro sono morti”. La Spadaro aggiunge anche: “Ai miei tre figli ho detto: non avete più padre, rinnegatelo, dimenticatevi di lui”.

Momento di riflessione.

Mi sono informata tanto sulle donne che partecipano attivamente alla vita dell’organizzazione mafiosa. Non per interesse personale ovviamente, ma solo perché vorrei capire cosa spinge una donna al ruolo così succube rispetto all’uomo, senza ribellione, ma con estrema fedeltà.

C’è da sottolineare come il degrado porti, inequivocabilmente, ad una sottomissione della donna al potere maschile. E di quanto sia difficile, per una questione di “abitudine”, accettare una sua indipendenza, qualora dovesse decidere di “essere qualcuno”. O meglio di concretizzare il suo “essere donna”, in una società dove “essere” ha un ruolo secondario rispetto all’”apparire”.

Dirò, forse, una cosa molto forte, ma io non vedo differenze tra una donna “moglie”, “madre”, “sorella”, “figlia” di un boss ed una che non ha questa etichetta, ma che accetta e subisce determinate culture. Non vedo differenze tra una donna che è nata e cresciuta con un’educazione mafiosa ed una che è nata e cresciuta con un’educazione di una famiglia del sud, ad esempio. Con questo, non voglio sicuramente dare una giustificazione alla mafia, né tantomeno dire che tutte le famiglie del sud vivono una cultura bassa. La mafia è stata e sempre sarà una grande montagna di merda!

Ma comprendere il ruolo della donna, in questa società, anche in condizioni che ci sembrano lontane, ci aiuterebbe. Forse, a superare quei limiti imposti ed iniziare a pensare ad una parità di genere concreta.

La sottomissione di cui ho parlato prima è una situazione molto diffusa. Una condizione “normale”, alla quale una percentuale ancora tanto alta di donne è costretta a subire ed accetta passivamente. È facilmente intuibile come diventi un problema quando una donna cerca di uscire da questo stato di sottomissione in cui la società la pone, per realizzare la sua persona.

È difficile accettare una donna intelligente, acculturata. Una donna che decide consapevolmente di non avere figli, di vivere la sua sessualità liberamente e che ha un lavoro.

Non è facile accettare una donna che ha un pensiero e lo esterna, che ha studiato e continua ad informarsi, per fame di sapere.

E potrei continuare all’infinito.

Concludo con una domanda:

Secondo voi, la nostra condizione è tanto diversa da quella delle madri d’onore?