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Ibrahim Traoré: il presidente più giovane del mondo

O l’ultimo liberatore dell’Africa?

Firmato: Anti-Mainstream Eagle of Freedom

Quando il 30 settembre 2022 un giovane capitano di appena 34 anni annunciò in diretta TV di aver deposto il governo militare golpista in Burkina Faso, pochi capirono che stavano assistendo a qualcosa di ben più grande di un semplice cambio di potere. Quel volto impassibile, con la mimetica e il basco rosso, si chiamava Ibrahim Traoré. In pochi mesi, sarebbe diventato il simbolo della nuova resistenza panafricana, l’incarnazione di un sogno antico: l’Africa libera da ogni catena coloniale.

Un golpe nel golpe

Traoré non prende il potere da un presidente democraticamente eletto, ma da Paul-Henri Sandaogo Damiba, un altro militare che a sua volta aveva rovesciato il governo nel gennaio 2022. Un colpo di Stato nel colpo di Stato, apparentemente uno scenario da caos endemico. Ma stavolta qualcosa cambia.

Il giovane capitano non arriva per assicurarsi il potere. Arriva con un discorso di rottura radicale: cacciare l’influenza francese, rinegoziare la sovranità nazionale, rompere con l’imperialismo occidentale e unire l’Africa sotto una nuova coscienza rivoluzionaria. Inizia così un’escalation di eventi che trasforma il Burkina Faso da Stato vassallo dell’Occidente a baluardo della nuova geopolitica africana.

La fine dell’ipocrisia francese

Fin dalla sua indipendenza “formale” nel 1960, il Burkina Faso – come molte altre ex colonie africane – è rimasto intrappolato nella ragnatela coloniale francese: cooperazione “militare”, basi permanenti, dipendenza economica, e soprattutto l’utilizzo forzato del Franco CFA, una valuta emessa e controllata dalla Banca di Francia. Una moneta che garantisce il saccheggio sistemico delle risorse africane da parte della Francia e dei suoi partner europei.

Ibrahim Traoré rompe questo tabù. Espelle le truppe francesi, denuncia pubblicamente le ingerenze di Parigi, stringe rapporti diretti con Mosca e Teheran, e – fatto ancor più simbolico – dichiara guerra al colonialismo linguistico e culturale. La lingua francese? “Strumento di dominazione”. L’ONU? “Complice dell’imperialismo”.

Burkina Faso, Mali e Niger fondano un’alleanza militare e diplomatica autonoma: l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES). E contemporaneamente iniziano un percorso per uscire dal Franco CFA.

Un ritorno al panafricanismo rivoluzionario

Il pensiero di Traoré non nasce dal nulla. Si ispira chiaramente al martire nazionale Thomas Sankara, ucciso nel 1987 in un colpo di Stato orchestrato – secondo molti analisti indipendenti – con il placet della Francia e della CIA. Sankara fu il primo a parlare di “decolonizzazione mentale”, di autosufficienza africana, di indipendenza vera.

Traoré ne raccoglie l’eredità, ma la adatta al XXI secolo. Usa la retorica anti-imperialista, ma maneggia i codici geopolitici globali con lucidità: parla con Putin, dialoga con i cinesi, rifiuta l’egemonia occidentale ma non si piega a nessun blocco. La sua è una rivoluzione multipolare, che guarda all’Eurasia ma non si fa dominare da nessuno.

Cina, Russia e il nuovo gioco africano

Nel vuoto lasciato dalla Francia e dagli USA – che perdono rapidamente influenza nel Sahel – si inseriscono Russia e Cina, ma con stili diversi. La Russia, attraverso il gruppo Wagner e poi le Forze Africane Sovrane (nuova sigla post-Prigozhin), offre supporto militare e protezione contro i gruppi jihadisti, spesso utilizzati come armi ibride dalle intelligence occidentali per destabilizzare i governi scomodi.

La Cina, invece, continua la sua colonizzazione economica mascherata da cooperazione infrastrutturale: strade, dighe, ferrovie, ma spesso costruite con manodopera e imprese cinesi, e con debiti usurai. Traoré, pur dialogando con entrambi i colossi eurasiatici, sembra voler mantenere una linea di equilibrio, tentando di evitare una nuova dipendenza mascherata.

Il ritorno dei popoli

Forse il vero miracolo di Ibrahim Traoré non è stato il colpo di Stato, né la sfida alla Francia. È la rinascita della coscienza africana. Le sue parole, i suoi gesti, la sua coerenza – oggi rara tra i leader – hanno scatenato una mobilitazione popolare spontanea. In ogni capitale africana, giovani e studenti iniziano a parlare di sovranità, di orgoglio, di identità.

Il volto di Traoré appare sui murales di Dakar, sulle magliette ad Abidjan, nei cori degli studenti congolesi. È diventato un’icona generazionale, come Che Guevara o Patrice Lumumba, ma ancora in vita e operante.

Una sfida all’ordine globale

L’esempio di Traoré è pericolosissimo per l’élite internazionale. Non perché abbia missili nucleari, ma perché potrebbe contagiare un intero continente. L’Africa, che per secoli è stata considerata solo un bacino da sfruttare, sta alzando la testa. E lo fa con leader giovani, radicali, preparati.

Se Burkina Faso, Mali e Niger riusciranno a sopravvivere alle sanzioni, ai sabotaggi interni, e alle operazioni sporche delle potenze occidentali (droni, ONG infiltrate, campagne mediatiche…), allora un nuovo mondo multipolare sarà davvero possibile.

E forse, in quel mondo, Ibrahim Traoré sarà ricordato non come un golpista, ma come un liberatore.


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