World

Non più schiavi, ma debitori: la strategia cinese per colonizzare l’Africa con il sorriso

Nel cuore pulsante del continente africano, tra miniere di coltan, porti strategici e parlamenti compiacenti, si sta giocando una partita silenziosa ma epocale. Non ci sono cannoni né truppe, eppure l’influenza si espande inesorabile. La Cina, gigante asiatico con sete di risorse e potere, si è insediata nel tessuto economico e politico africano con una metodologia tanto elegante quanto spietata: il debito.

Negli ultimi vent’anni, Pechino ha costruito un impero parallelo fondato non sulla forza militare, ma sulla dipendenza economica. Dai porti del Kenya alle miniere congolesi, dalle dighe etiopi alle ferrovie angolane, ogni grande opera finanziata dalla Cina è accompagnata da condizioni poco trasparenti, vincoli di rimborso rigidi e soprattutto clausole di controllo strategico.

Il colonialismo delle baionette è stato sostituito da quello dei contratti. Il processo è quasi sempre lo stesso: un Paese africano firma un memorandum d’intesa con la Cina per un’infrastruttura ‘necessaria allo sviluppo’. Il finanziamento arriva, l’opera viene costruita da imprese cinesi, con materiali e forza lavoro cinesi. Il debito cresce, le entrate previste non bastano a ripagarlo. E a quel punto entra in gioco il vero obiettivo: il controllo.

Lo Sri Lanka è stato l’apripista di questa strategia, quando nel 2017 è stato costretto a cedere per 99 anni il porto di Hambantota dopo aver accumulato debiti impagabili. In Africa, molte situazioni stanno evolvendo nella stessa direzione. Secondo il China Africa Research Initiative della Johns Hopkins University, tra il 2000 e il 2020 Pechino ha concesso oltre 153 miliardi di dollari in prestiti ai Paesi africani.

Questi finanziamenti, formalmente a basso interesse, sono spesso legati a garanzie implicite: risorse naturali, diritti di sfruttamento, quote nei profitti futuri. La Cina non impone apertamente la propria presenza, ma la costruisce lentamente, acquisendo quote strategiche in settori vitali come telecomunicazioni, energia, trasporti. È un controllo invisibile, ma totale.

Il caso della Zambia è emblematico. In difficoltà per i debiti contratti con Pechino, ha ceduto alle compagnie statali cinesi l’accesso preferenziale a miniere e centrali elettriche. Il risultato? Il Paese ha perso porzioni chiave della propria sovranità economica. E non è il solo.

In Kenya, la ferrovia Mombasa-Nairobi – costata oltre 3,2 miliardi di dollari – è stata finanziata e costruita dalla Cina. Oggi, il traffico merci è molto inferiore alle previsioni, e le perdite stanno crescendo. Secondo indiscrezioni, se il Kenya non dovesse onorare i pagamenti, il porto di Mombasa potrebbe essere trasferito sotto gestione cinese, come previsto da clausole segrete del contratto.

La Cina si presenta come partner solidale, lontana dalle logiche neocoloniali dell’Occidente. Ma dietro la retorica del rispetto e della cooperazione si nasconde una strategia imperiale molto più sofisticata. Il soft power del Dragone si alimenta di investimenti, prestiti, accordi bilaterali in cui le condizioni sono sempre favorevoli a Pechino.

Non sono pochi gli analisti indipendenti che parlano di ‘neocolonialismo 2.0’: un sistema in cui la subordinazione non si ottiene con le armi ma con i flussi finanziari. È la nuova economia della sottomissione, in cui l’Africa si trova ancora una volta a pagare un prezzo altissimo per un progresso apparente.

Le opere realizzate – ferrovie, dighe, autostrade – sono spesso inutilizzabili o insostenibili. I costi di mantenimento sono altissimi. Gli standard di costruzione non sempre allineati alle esigenze locali. E le popolazioni, lontane dai tavoli negoziali, subiscono decisioni prese in alto loco, senza partecipazione e senza trasparenza.

La Belt and Road Initiative (BRI), lanciata da Xi Jinping nel 2013, è la cornice strategica entro cui tutto questo avviene. L’Africa rappresenta il tassello perfetto: abbondanza di risorse, bisogno cronico di infrastrutture, governi facilmente corruttibili o disposti a firmare accordi disastrosi pur di ricevere capitali freschi.

La BRI non è solo un piano economico, ma una visione geopolitica di lungo periodo. La Cina punta a creare una rete mondiale di infrastrutture, porti, rotte commerciali e alleanze politiche che la rendano la prima potenza globale entro il 2049. L’Africa, con oltre un miliardo di abitanti e risorse fondamentali per l’industria tecnologica, è al centro di questa strategia.

Intanto, l’Europa discute di migranti e austerity, e gli Stati Uniti oscillano tra interventismi e ritirate. Pechino, nel silenzio generale, costruisce presenza, consolida alleanze, e si prende l’Africa un pezzo alla volta. Non con la violenza, ma con il contratto. Non con la conquista militare, ma con la seduzione economica.

Ma cosa succederà quando i nodi verranno al pettine? Quando i Paesi africani non riusciranno più a ripagare i debiti contratti con la Cina? Il rischio è quello di un’esplosione di tensioni interne, di una nuova ondata di instabilità e conflitti, stavolta generati non da guerre tribali o religiose, ma da decisioni finanziarie prese a Pechino.

Serve un risveglio africano, un movimento che ridia sovranità economica al continente, che pretenda trasparenza nei contratti, che blocchi le clausole predatorie. L’Africa ha già pagato un prezzo altissimo al colonialismo europeo. Non può permettersi di cadere in una nuova trappola, ancora più insidiosa perché mascherata da sviluppo.

Non più schiavi nei campi di cotone, ma debitori in trappole di prestito. Con il Dragone che sorride, firma memorandum e costruisce ponti… su cui passano solo i suoi interessi. La storia insegna che nessun impero è eterno. Ma per evitarne uno nuovo, servono consapevolezza, coraggio e memoria.


Fonti indipendenti consultate:

– *China Africa Research Initiative – Johns Hopkins University* → https://www.sais-cari.org

– *The Elephant – Investigative journalism from Africa* → https://www.theelephant.info

– *Africa Confidential – Independent insight & analysis* → https://www.africa-confidential.com

– *Investigative Africa* (2022): “Debt-trap diplomacy: The myths and realities of China’s lending in Africa”